IL MORBO DI PARKINSON: IL TRATTAMENTO FARMACOLOGICO ED IL SOSTEGNO PSICOLOGICO

Ebook: IO E IL PARKINSON MANUALE D’USO PER PAZIENTI E CAREGIVER a cura del reparto Disordini del Movimento del Centro Neurolesi IRCCS MESSINA https://www.medicinaxtutti.it/2020/05/03/2289/  post n 54

 

Il morbo di Parkinson prende il nome da James Parkinson, medico inglese, che per primo descrisse gran parte dei sintomi di questa malattia neurodegenerativa. Questo morbo  fa parte del gruppo di patologie definite “Disturbi del Movimento”, tra queste è la patologia più frequente ed ha un’ evoluzione lenta e progressiva.  Nel mondo si stima che vi siano 4 milioni di pazienti che soffrono di Parkinson,  il 50% delle diagnosi viene fatta sopra i 60 anni. Vi è una leggera prevalenza dei maschi sulle femmine e non  sono accertati  legami con l’etnia, lo stato sociale, l’area geografica e lo stato economico.

Sintomatologia

Il morbo di Parkinson è una sindrome extrapiramidale caratterizzata da rigidità muscolare che si manifesta con resistenza ai movimenti passivi, tremore che insorge durante lo stato di riposo, che può aumentare in caso di ansia, e bradicinesia che provoca difficoltà a iniziare e terminare i movimenti. I sintomi  si presentano spesso in modo asimmetrico, colpendo maggiormente un lato del corpo rispetto all’altro. Inoltre si possono avere disturbi dell’equilibrio, andatura impacciata e postura curva. I pazienti  nelle fasi avanzate della malattia, possono soffrire anche di sintomi non motori che riguardano l’umore ( ansia e depressione), i sensi (perdita dell’olfatto) e le funzioni cognitive. Altri sintomi riscontrabili sono i disturbi del sonno, la sonnolenza diurna, le disfunzioni del sistema nervoso vegetativo (costipazione, sudorazione eccessiva e disfunzioni sessuali) ed il dolore che può essere generalizzato o localizzato solo in alcune parti del corpo.

Vi sono dei segni che compaiono prima che la malattia sia conclamata e che venga posta la diagnosi. Tra i  segnali precoci che potrebbero svelare anticipatamente lo sviluppo del Parkinson ci sono, ad esempio, la perdita di espressività e il cambio del tono della voce, che diventa sempre più debole, mentre il linguaggio si fa confuso. In generale la personalità si modifica, l’umore diventa instabile e si alterna a momenti di apatia, fino al sopraggiungere di episodi di depressione. Anche il senso dell’olfatto e del gusto potrebbero essere compromessi. Il morbo di Parkinson può alterare alcuni meccanismi di autoregolazione dell’organismo, reazioni come la sudorazione possono mutare considerevolmente. Anche l’aspetto della cute, in particolare del viso, può subire delle variazioni, diventando eccessivamente oleoso e seborroico. Un studio a lungo termine, noto come Honolulu-Asia Aging Study (HAAS), ha contribuito a far luce sui segnali di sviluppo e inizio della malattia. In questa ricerca 8.006 giapponesi-americani sono stati esaminati periodicamente per 40 anni.

Fisiopatlogia del morbo di parkinson

Il Parkinson è caratterizzato dalla perdita selettiva e progressiva dei neuroni dopaminergici della sostanza nigra, zona celebrale che appartiene al mesencefalo,  gli assoni dei neuroni della sostanza nigra si connettono al nucleo striato. Queste cellule producono la dopamina, che agisce sul nucleo striato fungendo da messaggero chimico per il controllo della postura, del movimento e della marcia. La via ‘nigro-striatale’ fa parte del Sistema Extrapiramidale ed il mancato rilascio di dopamina nello striato porta ad una serie di gravi alterazioni nel funzionamento dei gangli della base, del talamo e della corteccia cerebrale, queste alterazioni provocano una serie di disturbi motori e non. La caratteristica distintiva riscontrabile all’esame istologico, in caso di morbo di Parkinson,  è rappresentata dall’accumulo, in particolare nella sostanza nigra, di inclusioni eosinofile filamentose intracitoplasmatiche, denominate corpi di Lewy. Queste inclusioni sono formate principalmente da aggregati di alfa-sinucleina, una proteina in forma insolubile. I corpi di Lewy sono stati  riscontrati anche nella corteccia e nel sistema nervoso enterico.

 

                                                                                                                                            (medicina360)

Tra i meccanismi eziopatogenetici ipotizzati, per spiegare il danno a carico dei neuroni dopaminergici,  ci sono l’alterazione della funzione mitocondriale, i fattori eccitotossici, la disfunzione del sistema ubiquitina-proteosomi, un anomalo accumulo di aggregati proteici, la carenza di fattori trofici e l’apoptosi, meccanismo di morte prematura del neurone dopaminergico. Inoltre sembrano avere un ruolo importante i fattori infiammatori e lo stress ossidativo. E’ molto probabile  che tutti questi fattori interagiscano tra di loro nel determinare la neurodegenerazione.

Eziologia

L’esordio della malattia si registra generalmente solo dopo 4-5 anni dal suo effettivo inizio . La causa della malattia è sconosciuta ma è accettata l’ipotesi di un’origine multifattoriale, in cui interagiscono componenti ambientali e genetiche. Dal punto di vista genetico una storia familiare positiva può aumentare il rischio di insorgenza della malattia. Forme ereditarie della malattia sono causate da mutazioni identificate per i seguenti geni: alfa-sinucleina, parkina, dardarina, DJ-1. Attualmente sono state identificate 13 mutazioni genetiche causali responsabili del 20% dei casi di malattia ma, si ipotizza, che l’interazione di fattori genetici ed ambientali sia necessaria per determinarne l’insorgenza del morbo.

Alcuni fattori ambientali e occupazionali possono aumentare il rischio di insorgenza della malattia. Tra questi sono compresi l’esposizione a tossine come i pesticidi, i metalli, altri xenobiotici e i prodotti chimici industriali, lo stile di vita (dieta e fumo), il luogo di residenza (ambiente rurale) e l’attività professionale (lavoro agricolo)Alcuni studi suggeriscono come potenziali concause per lo sviluppo del morbo alcune patologie infettive, come alcuni tipi di encefalite. In altri studi la malattia di Parkinson è stata associata a lesioni cerebrali, in particolare a traumi emorrargici.

Diagnosi e terapia

Il National Institute for Health and Care Excellence (NICE) ha fornito le linee guida necessarie per una corretta diagnosi e terapia del morbo di Parkinson. Le raccomandazioni NICE si basano su revisioni sistematiche delle migliori evidenze disponibili e sul rapporto costo-efficacia degli interventi sanitari.

La diagnosi della malattia di Parkinson è clinica e si basa sui criteri diagnostici della UK Parkinson’s disease Brain BanK:

              ( Criteri della Parkinson’s Disease Society Brain Bank per la diagnosi della malattia di Parkinson )

Per quanto concerne gli esami di neuroimmagine, per la diagnosi di Parkinson,  può essere eseguita la scintigrafia con DATSCAN  che permette di ottenere una stima della quantità delle terminazioni nervose dopaminergiche presenti. Questo esame però presenta una serie di limitazioni, ad esempio, vi sono pochi centri  di Medicina Nucleare in grado di eseguirla e le liste d’attesa sono molto lunghe. Un’altra considerevole limitazione della scintigrafia con DATSCAN è che comporta l’esposizione a radioattività. Queste limitazioni possono essere superate ricorrendo alla risonanza magnetica, esame in grado di individuare cambiamenti nella quantità di neuromelanina, che diminuisce progressivamente con la morte dei neuroni dopaminergici.

La levodopa  orale rimane il farmaco di prima linea per i pazienti con sintomi motori clinicamente rilevanti. E’ importante prima di iniziare il trattamento informare il paziente ed i familiari sugli effetti collaterali del farmaco che possono includere anche il disturbo del controllo degli impulsi. La gestione della terapia e l’adeguamento della stessa all’evoluzione del quadro clinico  è complessa poiché,  con  il passar del tempo, compare una risposta ridotta ai farmaci a  cui si associano i sintomi da trattamento cronico con Levodopa tra cui :
1. wearing-off: la levodopa perde di efficacia in termini di tempo, vale a dire che passa sempre meno tempo dall’ultima assunzione prima che compaiono i sintomi della malattia
2. il fenomeno ON-OFF: a periodi di effetto del farmaco si alternano periodi di mancato effetto caratterizzati da grave acinesia. Tali periodi possono essere corretti, almeno parzialmente, dalla apomorfina
3. Freezing: si assiste ad un vero e proprio arresto motorio, il movimento diventa come “congelato”, di solito il fenomeno riguarda la marcia
4. Discinesie: compaiono movimenti involontari degli arti o del tronco. Quando un paziente  sviluppa discinesia o fluttuazioni della risposta motoria, può essere aggiunto un trattamento adiuvante su indicazione dello specialista.

Possono inoltre essere prescritti farmaci per il trattamento dei sintomi non motori, ad esempio la melatonina per i disturbi del sonno o la midodrina in caso di ipotensione ortostatica.

Nei pazienti con malattia di Parkinson in stadio avanzato si può considerare un intervento di neurostimolazione cerebrale profonda solo quando i sintomi non sono controllati con il  trattamento farmacologico.

Oltre alla terapia occorre:

  • prescrivere la fisioterapia specifica per la malattia di Parkinson ai pazienti che manifestano problemi di equilibrio o della motilità
  • prescrivere una specifica terapia occupazionale per i pazienti che hanno difficoltà nelle attività quotidiane
  • prescrivere una terapia logopedica per i pazienti con malattia di Parkinson che hanno problemi con la comunicazione verbale, con la deglutizione o con la salivazione

Informazione e Sostegno Psicologico

E’ fondamentale coinvolgere il paziente, i familiari e i caregiver  in tutte le decisioni terapeutiche. E’ importante prendere in considerazione le condizioni cliniche, ma anche i bisogni e le circostanze di vita dei pazienti che per la loro patologia incontrano difficoltà nei rapporti sociali e difficoltà ad accettare la progressiva invalidità fisica. Questi  aspetti spesso incidono negativamente sul tono dell’umore. Una cattiva gestione dello stato psicologico e dei sintomi non motori del paziente può influenzare il controllo della sintomatologia motoria con conseguenti alterazioni  in negativo della qualità della vita sia del paziente che dei familiari o dei caregivers. E’ piuttosto frequente assistere ad un  peggioramento dei sintomi motori in relazione a particolari stati psicologici. Può capitare che, ad esempio,  il cammino diventi più lento o il tremore si accentui per cause apparentemente banali, come la visita di un amico, uno stato di tensione emotiva o una situazione di stress di qualunque natura. Il malato parkinsoniano, e non solo lui, va considerato nella sua interezza, per cui non è possibile pensare di curare il corpo, senza tenere conto dei  sentimenti, dell’ intelligenza e dei  desideri del paziente.
In generale un supporto psicologico è consigliabile ed, in alcuni casi, è assolutamente indispensabile per gestire al meglio le conseguenze della malattia. Oltre al supporto psicologico il malato deve essere anche rassicurato, informandolo che la malattia può essere ben trattata, che esistono farmaci utili per il controllo dei sintomi, che non esiste pericolo per la sua vita e che il decorso della malattia è molto lento. Quando esistono  difficoltà nelle relazioni interpersonali, soprattutto nell’ambito familiare, l’intervento dello psicologo dovrà essere indirizzato non solo al malato ma a tutto il nucleo familiare. Infine il supporto psicologico e psichiatrico diventa una condizione indispensabile quando il paziente e i familiari debbono affrontare le conseguenze di stati depressivi, di disturbi del pensiero e del controllo degli impulsi.

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