I NEURONI SPECCHIO: IL SUBSTRATO NEUROBIOLOGICO CHE CI PERMETTE DI COMPRENDERE GLI ALTRI

 

 

La scoperta dei neuroni specchio,  tutta italiana, è considerata una delle più grandi rivoluzioni scientifiche del secolo scorso. Negli anni ’80 e ’90 un gruppo di ricercatori dell’Università di Parma coordinato da Giacomo Rizzolatti  studiava la corteccia premotoria. Una delle ricerche sperimentali prevedeva il posizionamento di elettrodi nella corteccia frontale inferiore di un macaco per valutare i neuroni specializzati nel controllo dei movimenti della mano, mentre l’animale raccoglieva o manipolava ogettiti. Durante ogni esperimento era registrato il comportamento dei singoli neuroni nel cervello della scimmia, in modo da misurare la risposta neuronale a specifici movimenti. La scoperta dei neuroni  specchio fu dovuta al caso. Secondo quanto si racconta, mentre uno sperimentatore prendeva una banana in un cesto di frutta, alcuni neuroni della scimmia che osservava la scena reagirono. La prima domanda che gli sperimentatori si posero fu come questo poteva essere accaduto visto che  la scimmia non si era mossa. Fino a quel momento si riteneva che i neuroni si attivassero soltanto per funzioni motorie. Il gruppo di Rizzolati approfondì lo studio e individuò l’esistenza di un gruppo di neuroni, circa il 20% dei neuroni totali, che chiamarono  specchio, che si attivano quando si compie  una determinata azione e ma anche quando  si vede compierla. Nel 1995, lo stesso gruppo di ricerca dimostrò, per la prima volta, l’esistenza nell’uomo di un sistema simile a quello trovato nella scimmia.  Più recentemente, altre prove ottenute tramite fMRI, TMS, EEG e test comportamentali hanno confermato che nel cervello umano esistono sistemi simili e molto sviluppati e sono state identificate con precisione le regioni che rispondono all’azione/osservazione.

Nel macaco i neuroni a specchio sono stati localizzati nella circonvoluzione frontale inferiore e nel lobo parietale inferiore. Le proprietà di questi neuroni hanno indotto i ricercatori a pensare che queste cellule codifichino concetti astratti per azioni concrete sia quando l’azione è compiuta direttamente, sia quando giunge l’informazione che è compiuta da altri. La funzione dei neuroni specchio nei macachi non è ben compresa, dato che gli individui adulti non sembrano in grado di imparare per imitazione.

L’osservazione dell’attivazione dei neuroni  specchio nell’uomo avviene attraverso constatazione di  variazioni nel flusso sanguigno legate all’accensione neuronale.  Le tecniche di indagine (fMRI) e di brain imaging  hanno permesso di giungere ad  una localizzazione precisa dei neuroni  specchio umani. Le aree contemporaneamente attive durante l’osservazione degli atti altrui sono risultate essere  il lobo frontale che comprende l’area di Broca, il lobo parietale e il lobo dell’insula, che si trova profondamente all’interno della scissura di Silvio tra lobo temporale e lobo frontale. Quest’ultimo è quello che rielabora le informazioni che provengono dal sistema limbico, il quale supporta le funzioni relative alle emozioni.

 

               (Neurobiologia delle emozioni, I.Z. Martini)

 

Esperimenti condotti da Giovanni Buccino e altri nel 2001, dimostrano che nell’uomo l’attivazione dell’area di Broca  è senz’altro collegata al linguaggio. Ormai è certo che il sistema dei neuroni  specchio partecipa ai meccanismi di comprensione delle azioni altrui e all’apprendimento attraverso l’imitazione e la simulazione. Inoltre sono stati condotti studi che dimostrano che questi neuroni   permettono di comprendere l’intenzione altrui prima che l’azione venga compiuta. Secondo Giacomo Rizzolati  i neuroni specchio possono permettere all’uomo di vedere, e capire, i movimenti delle labbra e della lingua di coloro che ci circondano. È per questo motivo che quando sorridiamo a un neonato per più di qualche secondo, il neonato risponde ripetendo la nostra mimica facciale. Tale possibilità consente dunque di copiare e ripetere in un secondo momento i suoni e le parole pronunciate precedentemente da qualcun altro.

NEURONI SPECCHIO ED EMPATIA

I neuroni  specchio sarebbero anche alla base dell’empatia, cioè della capacità di rapportarsi agli altri, di comprenderli, di solidarizzare con le loro sofferenze e le loro gioie. “In ogni azione, oltre ciò che si fa, conta l’intenzione, il perché la si fa” dice Rizzolatti. Empatia significa mettersi nei panni degli altri  e questo è possibile perchè il cervello si sintonizza con quello di chi ci  è intorno. L’empatia è la base della vita sociale. È, come sosteneva Martin Buber, quella che consente di realizzare il rapporto Io-Tu, cioè tra due soggettività diverse ma equivalenti, rispetto all’Io-Esso, dove l’altro è semplicemente un  oggetto. Questo, secondo Rizzolatti, può avvenire solo grazie ai neuroni specchio che si attivano se riconosco me stesso nell’altro. “Se vediamo un cane mordere, i nostri neuroni specchio sparano, perché è un gesto che possiamo fare anche noi. Ma se vediamo un cane scondinzolare, possiamo capire attraverso il ragionamento che ci sta facendo le feste, ma non lo capiamo intuitivamente, perché noi non abbiamo la coda..” Sono i neuroni specchio che ci rivelano l’intenzione altrui in tempo reale, permettendo di comprendere se il comportamento dell’altro è tranquillo o presenta caratteristiche di aggressività. Alcuni ipotizzano che chi soffre di autismo, ed è cioè incapace di comprendere le azioni degli altri e di rapportarsi agli altri, abbia in realtà una carenza di neuroni specchio.

I neuroni specchio che si attivano, quando si deve valutare una risposta emotiva, sono quelli della  giunzione temporoparietale, area che possiede un ruolo fondamentale nella distinzione tra sé e l’altro e nel separare la propria prospettiva da quella di un’altra persona. L’attivazione è più intensa nei maschi che nelle femmine,  questo ha portato a  teorizzare che gli uomini abbiano la tendenza a mostrare in misura minore una condivisione emotiva rispetto alle donne.  Queste differenze di genere sono in accordo con i dati per i quali alcune malattie psichiatriche, come i Disturbi dello Spettro dell’Autismo, il Disturbo di Personalità Antisociale e i disordini della condotta, caratterizzate da un deficit empatico, sono più comuni tra le persone di sesso maschile (Baron-Cohen2012).https://www.medicinaxtutti.it/2020/04/02/lautismo-e-una-condizione-causata-da-un-disordine-dello-sviluppo-neurologico-ad-oggi-ancora-non-sono-conosciute-le-reali-cause/

 Le ricerche sui meccanismi cerebrali correlati all’empatia per il dolore, hanno determinato una modificazione del modello di empatia come fenomeno semplice automatico e preriflessivo legato all’attivazione stimolo-correlata di neuroni specchio.  Si è creato un nuovo modello secondo cui  si può parlare di due forme di empatia, una “semplice” di mappatura somatotopica dello stimolo, e una “più complessa”, basata sulla risonanza affettiva, che avrebbe più a che fare con la condivisione emotiva. La componente affettiva dell’empatia sarebbe significativamente influenzata da meccanismi top-down  legati alla valutazione cognitiva. Sembra sia possibile bloccare attraverso un percorso razionale e culturale l’azione dei neuroni specchio. Questo spiega perché l’empatia si attiva maggiormente in alcuni soggetti rispetto ad altri.

Bibliografia

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