L’INSONNIA SECONDO GLI STUDI MORFEO

Dott.ssa Lucilla Castrucci https://www.buonmedico.it/medico-lucilla-castrucci_259460.html

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Il termine insonnia, dal latino “insommis” cioè inabile a dormire, non può essere inteso in senso letterale. Infatti, un’assenza permanente e totale di sonno rappresenta un evento di rarissimo riscontro nella pratica clinica. Secondo una definizione condivisa, l’insonnia consiste nell’avere un sonno inadeguato o anormale. Tra gli anni 2000 e 2003 sono stati svolti, in Italia, due importanti studi (detti Morfeo 1 e Morfeo 2) dall’Associazione Italiana di Medicina del Sonno in collaborazione con i medici di famiglia.

Queste indagini hanno evidenziato una prevalenza dell’insonnia pari al 64% nella popolazione generale. Hanno rilevato, inoltre, una maggiore frequenza di patologie concomitanti (cardiovascolari, muscoloscheletriche e dell’apparato gastroenterico), un maggior utilizzo delle risorse sanitarie (visite mediche, esami strumentali e di laboratorio), un maggior numero di giorni di malattia e una peggiore qualità di vita nei pazienti con insonnia rispetto ai non insonni. Lo studio Morfeo 2 ha confermato l’elevata frequenza d’insonnia nella popolazione che si reca dal medico di base, ma ha evidenziato come solamente una piccola percentuale di pazienti riceva un trattamento.

Definizione e classificazione dell’insonnia

L’insonnia viene definita nel DSM V (ultima edizione del Manuale Diagnostico Statistico dell’Associazione Psichiatrica Americana) come “l’insoddisfazione per la qualità del sonno associata a difficoltà nell’addormentamento e\o nel mantenimento e\o risveglio precoce. Questa condizione causa disagio significativo o deficit nelle attività della vita quotidiana, ha una durata di almeno 3 mesi per almeno 3 notti alla settimana ed è presente anche quando il soggetto ha la possibilità di dormire tranquillamente”.

Il sonno ha dei processi di regolazione, presenta degli stadi e varia nel corso della vita. Questi fattori devono essere accuratamente considerati quando s’intendono valutare la qualità del sonno e le eventuali cause della sua alterazione. Quando si parla di processi di regolazione si fa riferimento al processo circadiano o orologio biologico, che regola l’alternanza tra sonno e veglia rispondendo agli stimoli provenienti dall’ambiente come:

  • la successione luce-buio
  • i turni di lavoro
  • gli orari dei pasti
  • le interazioni sociali

Vi è poi il processo omeostatico per cui il tempo occorrente per addormentarsi è inversamente proporzionale alla durata del precedente periodo di veglia.

Per ciò che riguarda le fasi del sonno se ne distinguono due:

  1. NON REM
  2. REM

La fase NON-REM è contraddistinta da 4 stadi durante i quali il sonno si fa via via più profondo. I primi due sono l’addormentamento e il sonno leggero. Il terzo stadio è la fase di sonnoprofondo, che raggiunge il suo culmine al quarto stadio durante il quale l’organismo si rigenera. Durante la fase REM, chi dorme compie bruschi movimenti degli occhi. Il termine REM è acronimo inglese di Rapid Eye Movement ovvero “rapido movimento oculare”. In questa fase aumentano il battito cardiaco, la frequenza respiratoria e si sogna.

L’età è la variabile, come sostenuto da Carskedon e Dement (2000), che spiega maggiormente le differenze individuali nella durata e nella qualità del sonno.

Queste differenze possono essere così riassunte:

  • nei giovani adulti la durata del sonno REM è circa 25%. Il restante 75% è così ripartito: stadio 1 sonno NREM 5%, stadio 2 NREM 50% stadi 3 e 4 NREM 20%
  • nei bambini il sonno REM è circa 50% e anche gli stadi 3 e 4 NREM hanno una durata più lunga
  • negli anziani si ha una marcata riduzione del sonno profondo con un aumento della durata degli stadi 1 e 2 NREM. Il sonno peggiora in qualità ed è caratterizzato da risvegli frequenti. Le ore notturne di sonno diminuiscono ma aumenta la frequenza dei sonnellini diurni

Classificazione dell’insonnia

L’insonnia può essere classificata seguendo tre criteri:

  1. eziologico
  2. fenomenologico
  3. temporale

Secondo il criterio eziologico si distinguono un’insonnia primaria e una secondaria.

L’insonnia primaria è un disturbo del sonno che non dipende da un’altra condizione morbosa.

Secondo la classificazione internazionale dei disturbi del sonno (ICSD-2) vi sono 5 categorie d’insonnia primaria:

  1. disturbo d’insonnia d’adattamento: compare a seguito di uno stress identificabile, è un disturbo transitorio e scompare quando viene eliminata la fonte dello stress o si sviluppa un comportamento d’adattamento;
  2. insonnia psicofisiologica: è causata da un’eccessiva preoccupazione per la qualità e la durata del sonno oppure si manifesta quando si associavano stimoli caratteristici dello stato di veglia ai tentativi di addormentamento;
  3. insonnia soggettiva: si ha quando non è possibile oggettivare alterazioni del sonno o sue conseguenze ma il soggetto riferisce insonnia;
  4. insonnia da inadeguata igiene del sonno: compare quando abitudini, comportamenti e stili di vita compromettono la durata e la qualità del sonno;
  5. insonnia idiopatica: è un disturbo  di cui non si riesce a identificare la causa, generalmente inizia nell’infanzia e si protrae nel tempo.

L‘insonnia secondaria è generata da malattie fisiche o problemi psicologici. Le patologie che possono esserne causa sono varie e numerose, d’interesse sia neuro-psichiatrico che internistico: sindromi ansioso-depressive, demenze, psicosi, encefalopatie, Morbo di Parkinson, Corea di Huntinghon, angina ed aritmie, ernia iatale, ulcera gastrica o duodenale, sindrome del tunnel carpale, osteoartriti, artrite reumatoide, asma bronchiale, ipertensione arteriosa, iper o ipotiroidismo, insufficienza renale cronica  e scompenso cardiaco. Inoltre, l’utilizzo di farmaci o sostanze ad azione stimolante sul Sistema Nervoso Centrale, l’uso protratto o la brusca sospensione di benzodiazepine e l’alcolismo cronico possono compromettere il sonno.

Seguendo la classificazione fenomenologica, l’insonnia può essere distinta in totale e parziale. L’insonnia totale è un evento piuttosto raro e comunque di breve durata, che può dipendere da situazioni reattive o da lesioni encefaliche. Quella parziale viene distinta in:

  1. iniziale, con difficoltà di addormentamento;
  2. centrale, caratterizzata da numerosi risvegli notturni;
  3. terminale, con risvegli precoci.

Infine secondo il criterio temporale l’insonnia può essere suddivisa in:

  1. transitoria: la sua durata è compresa tra pochi giorni e due settimane;
  2. occasionale: collegata a situazioni spiacevoli a carattere somatico o psichico;
  3. ricorrente: legata a condizioni che tendono a riproporsi nel tempo anche con una periodicità ben determinata
  4. persistente: con una durata compresa entro le tre settimane;
  5. cronica: la cui durata oltrepassa le tre settimane e può protrarsi per mesi o anni.

I sintomi e le cause dell’insonnia

L‘insonnia è un disturbo del sonno in cui la componente di percezione soggettiva è caratterizzante (ICSD- 3, 2014). I sintomi di questo disturbo, oltre ad essere notturni (difficoltà di inizio e\o mantenimento del sonno, sonno leggero e non ristorativo), sono anche diurni. Il sonno ha la funzione di rivitalizzare le cellule del corpo, eliminare le tossine dal cervello e promuovere l‘apprendimento e la memoria. La privazione di sonno provoca difficoltà di concentrazione, calo del tono dell’umore, irritabilità, difficoltà sociali e occupazionali, compromissione del giudizio morale e sintomi da iperattività.

Inoltre, aumenta il rischio di compromissione del  e di diabete di tipo 2 e di iperinsulinismo, di obesità, di aritmia cardiaca con incremento di patologie cardiovascolari. Ricerche empiriche e metanalisi dimostrano che la presenza di insonnia persistente può costituire un fattore di rischio per lo sviluppo di depressione e ansia.

Spielman AJ. (1991) ha proposto un modello pratico, detto modello delle 3 P, per spiegare lo sviluppo e la persistenza dell’insonnia. In questo modello teorico eziologico, ha descritto come la forma transitoria d’insonnia può divenire persistente secondo alcune vulnerabilità presenti in tutti gli individui, ma differenti di grado in virtù delle differenze individuali determinate da fattori predisponenti. L’insonnia, ad esempio, è più frequente nel sesso femminile, con un rapporto rispetto ai maschi almeno doppio, soprattutto in età avanzata e in presenza di bassi livelli culturali e precarietà occupazionale. Secondo il modello proposto da Spielman, i fattori che influenzano l’insonnia e il suo andamento sono:

  • Predisponenti (età, genere, familiarità e caratteristiche individuali)
  • Precipitanti (stress, lutti e preoccupazioni)
  • Perpetuanti (comportamenti e credenze disfunzionali per il sonno)

Espie (Espie et al.2006 ) ipotizza che il ritmo sonno-veglia e il processo di addormentamento potrebbero divenire particolarmente vulnerabili se perdono il loro naturale automatismo. Questo autore è incline a vedere le persone che soffrono d’insonnia come potenzialmente capaci di dormire qualora i fattori disturbanti del sonno rimanessero inattivi. È attualmente accertato dai dati pubblicati, che la secrezione di serotonina da parte dei neuroni promuova lo stato di veglia ed inibisca la fase REM del sonno. Tuttavia, in certe circostanze, tale neurotrasmettitore contribuisce all’aumento della propensione al sonno.

Un significativo aumento dello stato di veglia e una riduzione del sonno è stato attribuito anche all’aumento della neurotrasmissione catecolaminergica che coinvolge principalmente il sistema noradrenergico e dopaminergico. Due recentissimi studi pubblicati sulla rivista Nature Genetics (ANSA 26 febbraio 2019) hanno indicato 57 geni associati ai sintomi dell’insonnia, analizzando i dati di 450mila persone conservati nella Biobanca del Regno Unito, insieme a quelli di 15mila norvegesi e 2200 americani. I geni identificati, oltre a essere alla base dell’insonnia, regolano stress ed emozioni e grazie alla loro scoperta si comincia a delineare il primo quadro completo dei meccanismi biologici responsabili di questo disturbo del sonno.

Conclusioni

Il sonno insufficiente e i disturbi del sonno sono un problema sociale e sanitario. Dopo 24 ore di veglia le prestazioni sono così compromesse da poter essere assimilate allo stato in cui ci si trova se è presente nel sangue una quantità di alcol corrispondente all’assunzione di una bottiglia di vino in un’ora. I costi diretti e indiretti dell’insonnia sono stati stimati in 2,5 miliardi di dollari l’anno negli Stati Uniti. I calcoli per l’Europa non sono attualmente disponibili, ma un onere economico simile è ragionevolmente ipotizzabile. L’eccessiva sonnolenza diurna compromette il lavoro e la sicurezza alla guida: dormire meno di 5 ore aumenta il tasso di incidenti fino a 4,5 volte.

L’insonnia, dunque, è una vera e propria malattia con conseguenze importanti. L’impegno della comunità scientifica è rivolto a comprenderne sempre meglio i meccanismi, ma non può prescindere dalla divulgazione di un’adeguata informazione. Infatti, l’insonnia rimane nella grande maggioranza dei casi non trattata e, come rilevato dallo studio Morfeo 2, vi è una sottostima, da parte del paziente stesso, della rilevanza clinica di questa patologia.

Prendere coscienza dell’esistenza di un problema è il primo passo per poterlo risolvere. L‘insonnia può essere risolta praticando una buona igiene del sonno, modificando gli stili di vita e, se necessario, ricorrendo alle terapie farmacologiche anche affiancate dal trattamento psicoterapico.

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