ATTACCO DI PANICO: QUANDO STAI COSI’ MALE CHE CREDI DI MORIRE

 

 

Il termine panico, per gli antichi greci, indicava quel timore misterioso ed indefinibile che essi ritenevano causato dalla presenza del dio Pan, dio delle montagne e della vita agreste. Nel linguaggio psicologico il panico corrisponde alla forte ansia che un individuo può provare di fronte ad un pericolo inaspettato e che lo porta a trovarsi in uno stato di confusione caratterizzata per lo più da comportamenti irrazionali. Questa forte ansia in alcuni casi si associa ad un attacco di agorafobia o ad una condotta di evitamento fobico. Provare  panico significa avere  timore per un evento imminente e minaccioso di natura ignota. La minaccia genera un sentimento d’allarme caratteristico dello stato d’ansia che si rivela attraverso il linguaggio del corpo.

Le descrizioni del quadro clinico del panico risalgono ad Ippocrate (5°-4° sec a.C.).  Fu S. Freud a descrivere per primo, in modo dettagliato, l’attacco di panico nell’ambito della “nevrosi d’ansia”. Freud sottolineò come la crisi d’ansia potesse essere scatenata da un fattore o da una situazione specifici, o verificarsi in modo inatteso, anticipando l’attuale distinzione tra attacchi di panico inaspettati e situazionali.

Gli Attacchi di Panico vengono definiti anche ansia parossistica episodica. Il panico, in quanto disturbo d’ansia, condivide molti elementi con la fobia, l’ossessione e la compulsione . L’ansia è parossistica perché molto violenta ed è episodica perché dura per un periodo limitato e capita una volta ogni tanto. Non sempre vivere un Attacco di Panico provoca lo strutturarsi di un Disturbo di Panico (DP). Il DP prevede la presenza di un periodo in cui la vita del paziente è significativamente modificata dalla paura del verificarsi di un nuovo attacco. Il soggetto si adatterà a questa esigenza, evitando le situazioni che associa all’evento. In alcuni casi si strutturerà un atteggiamento agorafobico. Nel 1962 il Disturbo di Panico (DP) diviene un’entità clinica specifica grazie a D. Klein e M. Fink che dimostrarono l’efficacia dell’impramina nel trattamento degli episodi di crisi ansiosa.

Il Disturbo di Panico è uno dei disturbi psichiatrici più frequenti. La sintomalogia dell’Attacco di Panico è complessa, si manifesta con sintomi somatici che le persone credono siano determinati da una patologia organica. Chi li vive si allarma fortemente perchè i sintomi spesso sono accompagnati da una sensazione di morte imminente e da altri disturbi psicologici.

Epidemiologia 

L’attacco di panico è un’esperienza molto frequente nella popolazione generale, tuttavia non tutti i soggetti che hanno avuto un Attacco di Panico sviluppano poi un  Disturbo di Panico. La prevalenza , in Italia, nella popolazione generale, per il Disturbo di Panico si stima tra 1%  e 4.6%. I dati epidemiologici indicano che vi è un gran numero di fattori di rischio, per lo più, comuni a tutti i disturbi d’ansia e una maggiore frequenza del disturbo nelle femmine.

Per quel che concerne gli aspetti genetici, attualmente non esistono dati che indichino una associazione tra  DP e uno specifico locus cromosomico. Tuttavia  gli studi condotti sui gemelli hanno evidenziato come, nel caso dei gemelli monozigoti, i parenti biologici di primo grado hanno una probabilità fino a 8 volte maggiore di sviluppare il disturbo. Se l’età di esordio del DP è inferiore ai 20 anni, si è visto che i parenti di primo grado hanno una probabilità 20 volte maggiore di avere il Disturbo di Panico.

In rapporto ai fattori relativi ai primi anni di vita che possono predisporre ad Attacchi di Panico, nella storia clinica delle persone che soffrono di DP, sono stati rilevati spesso rapporti familiari piuttosto freddi e distaccati e stili di attaccamento insicuri, connotati da notevole “ansia da separazione”. Inoltre è spesso presente un vissuto che tende a sostenere la formazione di una personalità ricca di insicurezze e di bisogno di attenzione che rimane insoddisfatto.

Per quanto concerne gli eventi stressanti le ricerche rivelano che di solito le persone tendono ad avere il primo Attacco di Panico dopo 6, 8 mesi di stress. Gli eventi stressanti hanno a che fare con il tema della perdita anche se non esclusivamente di tipo negativo (la morte di una persona cara, una separazione o un trasferimento), anche situazioni apparentemente positive, come la nascita di un figlio, una promozione o un matrimonio possono precedere la comparsa di Attacchi di Panico.  Alcuni studi hanno evidenziato una maggior frequenza di Disturbo di Panico tra gli individui separati o divorziati rispetto a quelli sposati, così come nei campioni di persone con bassi livelli d’istruzione.

E’ risultata significativa l’associazione tra Disturbo di Panico e residenza in città, che indica una maggiore probabilità di sviluppare questo disturbo negli individui che vivono in zone urbane rispetto a quelli che risiedono in campagna.

La letteratura conferma che i pazienti affetti da DP rispondono ai criteri per un disturbo di personalità in una percentuale che varia tra il 20 %ed il 95% con una preponderanza dei disturbi del clauster C (dipendente, evitante, ossessivo-compulsivo, passivo-aggressivo). L’associazione tra DP e personalità del clauster C non sembra tuttavia essere specifica, poiché un profilo simile di disturbi di personalità è stato osservato in campioni di pazienti con depressione maggiore ed in pazienti con altri disturbi d’ansia.

L’età di esordio del Disturbo di Panico si colloca tra l’adolescenza ed i 30/35 anni. I soggetti più comunemente colpiti hanno tra i 25 e i 45 anni di età. Tra le persone più anziane vi sono tassi di prevalenza minori, che indicano una presenza rara del disturbo negli individui al di sopra dei 65 anni.

Per quel che concerne la presenza di agorafobia nel Disturbo di Panico, gli studi epidemiologici riportano una comorbidità di un terzo- metà dei pazienti affetti da DP, ma in ambito clinico l’agorafobia, anche di lieve entità, è riportata in più dei tre quarti dei soggetti affetti da DP. Alcune persone possono essere agorafobiche per un periodo breve di tempo , mentre altre possono sperimentare una forma cronica e severa di disturbo. I DP con agorafobia tendono ad avere un decorso più grave e complicato. I dati disponibili indicano che un trattamento precoce del Disturbo di Panico può accorciarne la durata e prevenire le complicazioni, incluse agorafobia e depressione.

Eziologia

Per quanto riguarda le cause del disturbo del DP i dati in letteratura indicano che si tratta di una patologia ad origine multifattoriale in cui intervengono variabili biologiche, psicologiche e sociali.

I circuiti neuronali che si attivano determinando la comparsa dell’Attacco di Panico sono gli stessi che determinano l’ansia e la paura. In questi circuiti hanno ruolo centrale il talamo e l’amigdala. Quest’ultima è la struttura centrale per la modulazione degli stati d’ansia. Ha numerose connessioni  con  strutture corticali e limbiche coinvolte nella  risposta neuroendocrina allo stress. Queste interazioni neuronali determinano la reazione comportamentale di fronte al pericolo. Le vie efferenti del circuito ansia-paura mettono in funzione il sistema nervoso autonomo,  la cui attivazione determina i sintomi somatici correlati all’ansia.

Esistono alcune sostanze in grado di provocare la comparsa di un Attacco di Panico. Gli induttori del panico sono:

  •  Il lattato il suo ruolo  nell’attacco di panico fu studiato in maniera scientifica per la prima volta da Pitts e McClure che condussero uno studio in doppio cieco, placebo-controllo, partendo dall’ipotesi che lo ione lattato fosse capace di indurre ansia nei soggetti predisposti. Poiché i sintomi dell’Attacco di Panico furono riportati da 13 soggetti con nevrosi d’ansia su 14, e solo da 2 controlli sani su 10, gli autori conclusero che si trattava del primo modello di induzione sperimentale di sintomi ansiosi in individui suscettibili. Studi successivi sono stati condotti per verificare la validità del metodo ed introdurlo come modello di induzione del panico in laboratorio. Tutti gli studi hanno confermato che gli Attacchi di Panico prodotti in laboratorio sono assimilabili a quelli che i soggetti con DP  sperimentano nella vita reale. Tuttavia rimane il dubbio se l’Attacco di Panico indotto sperimentalmente sia dovuto realmente a modificazioni dirette provocate dall’agente induttore. La somministrazione di lattato in volontari sani sviluppa attacchi di panico in circa il 25% dei soggetti ed il follow-up di circa 3 anni di questi pazienti evidenzia lo sviluppo di Attacchi di Panico sporadici in circa il 5% dei casi. Ciò pone problemi etici nell’esecuzione di studi di stimolo panicogeno in volontari sani. Si ritiene che il lattato venga prima metabolizzato in bicarbonato di sodio ed in virtù di questa conversione induca alcalosi che sarebbe poi responsabile dell’Attacco di Panico .
  • Per ciò che riguarda l’anidride carbonica, si deve a Donald Klein (1993) la teoria del “falso-allarme per l’asfissia”. Questo autore postula che gli Attacchi di Panico siano connessi al meccanismo di allarme per soffocamento. Gli studi condotti sulla CO2 ed il Ph ematico dell’area chemiocettiva bulbare dimostrano che, tale area, connessa con il nucleo paragigantocellulare del locus coeruleus, stimola i centri respiratori adeguando la respirazione alle necessità metaboliche specifiche.
    Klein, ipotizzò una bassa soglia di allarme nelle cellule chemiocettive nei soggetti con  Disturbo di Panico. Un gruppo di ricerca dell’Università dell’Iowa, guidato da A. E. Ziemann, ha scoperto recentemente che il processo con cui la CO2 agisce sul sistema nervoso è regolato da una specifica proteina indicata con la sigla ASIC1a. Questa proteina è particolarmente abbondante nell’amigdala.
  •  La prima evidenza dell’azione ansiogena della colicistochinina (CCK) nell’uomo risale allo studio di De Montigny che osservò come la CCK4 induceva ansia nei volontari sani e che tale ansia era reversibile con la somministrazione di lorazepam. Studi successivi hanno confermato questi dati e verificato l’efficacia di questo induttore nei soggetti con Disturbo di Panico. Tuttavia sono rari gli studi che confrontano i soggetti con DP con controlli sani. Ciò nonostante, alcune ricerche concludono che la risposta alla CCK distingue i volontari sani dai pazienti con Disturbo di Panico e che la molecola induce Attacchi di Panico, in condizioni controllate di laboratorio, simili a quelli che i pazienti con DP sperimentano nella vita reale. E’ stato inoltre dimostrato che gli Attacchi di Panico recedono dopo la somministrazione di farmaci antipanico quali l’impramina.

Sintomatologia, esordio e decorso del DP

Il Disturbo di Panico è caratterizzato dal ripetersi degli attacchi di panico (AP) la cui frequenza è estremamente variabile, sono presenti ansia anticipatoria e condotte di evitamento, che nel corso del tempo compromettono in maniera significativa la vita del soggetto. La prima descrizione clinica di questo disturbo da un punto di vista  sintomatologico si deve a Jacop da Costa (1871) che descrisse la sindrome del cuore irritabile con evidenti manifestazioni neurovegetative e cardiorespiratorie acute, quadro che Krishaber chiamò neuropatia cerebrocardica (vertigini, sintomi neurovegetativi, derealizzazione).

I sintomi di un Attacco di Panico riguardano sia aspetti fisici che psicologici.

Una classificazione dei sintomi fisici dell’Attacco di Panico, utile dal punto di vista pratico, è quella che si propone di raggruppare le manifestazioni sintomatologiche per apparato facendo riferimento alle patologie organiche che possono simulare:

SINTOMI CHE MIMANO UN INFARTO CARDIACO:

aumento della frequenza cardiaca
aumento dell’intensità apparente del battito cardiaco dolori al torace

SINTOMI CHE MIMANO PROBLEMI CARDIOVASCOLARI:

Sudorazione
Vampate di calore
Senso di freddo improvviso agli arti

Torpore delle dita delle mani o dei piedi

SINTOMI CHE MIMANO PROBLEMI RESPIRATORI:
dispnea
sensazione di non riuscire ad inalare aria a sufficienza (“fame d’aria” )

SINTOMI CHE MIMANO PROBLEMI GASTROINTESTINALI:

difficoltà di deglutizione
nausea
diarrea

dolori addominali pirosi gastrica vertigini

SINTOMI CHE MIMANO PROBLEMI NEUROLOGICI :

tremori leggeri
tremori a scatti
stordimento

confusione parestesie

I sintomi psicologici sono essenzialmente 4:

  • Depersonalizzazione: sentimento di distacco o estraneità rispetto ai propri pensieri o al proprio corpo, come ad esempio sentirsi come un osservatore esterno, un automa o un robot, o sentirsi come in un sogno o come se si guardasse un film.
  • Derealizzazione: un’alterata percezione del mondo esterno, ad esempio, le persone sembrano meccaniche o morte, le cose sembrano diverse, modificate o non familiari o come inserite in un sogno.
    Questi due sintomi dissociativi possono presentarsi in molti disturbi psicopatologici e generalmente sono correlati ad eventi e condizioni relazionali-affettive particolarmente difficili e/o traumatiche della vita di una persona.
  • Paura d’impazzire o di perdere il controllo
  • Paura di morire.

E’ opinione comune di numerosi ricercatori che l’agorafobia senza Attacco di Panico sia in realtà secondaria alla presenza di Attacchi di Panico paucisintomatici. Una maggiore severità del disturbo, calcolata prendendo come discriminanti gli accessi al pronto soccorso e la suicidalità, è in funzione del numero dei sintomi: maggiore è il numero dei sintomi, maggiore è la gravità dell’Attacco di Panico.
Nel DP frequenti sono anche le manifestazioni psicosensoriali con la presenza di ipersensibilità ai rumori, alla lue ed ai colori. Oltre ai sintomi dissociativi può manifestarsi il dejà vu. Le manifestazioni comportamentali racchiudono comportamenti che possono essere messi in atto dal soggetto nel momento in cui insorge il panico, quali interruzione delle attività, fuga o gesti incontrollati, raramente pericolosi.
Gli Attacchi di Panico possono comparire in maniera spontanea (attacchi di panico spontanei) o in situazioni temute o che provocano forte disagio (attacchi di panico situazionali).

L’ansia anticipatoria può essere definita come la paura che il paziente prova che un nuovo attacco possa sopravvenire, in questo caso egli inizia a convivere con uno stato di allerta persistente che si traduce in una vera e propria ansia intercritica. A lungo andare si strutturano condotte di evitamento che, nella maggior parte dei casi, si organizzano per l’intensificarsi della frequenza delle crisi e per la tendenza ad associare gli attacchi con situazioni e luoghi specifici. L’agorafobia può essere considerata una condotta di evitamento che limita fortemente il funzionamento globale (soprattutto sociale e lavorativo) dell’individuo. Le situazioni agorafobiche più comuni sono: rimanere a casa da soli, prendere l’ascensore, viaggiare con mezzi pubblici di trasporto, attraversare un tunnel o un viadotto e trovarsi in posti affollati. L’agorafobia può assumere entità nosologica a sé quando gli Attacchi di Panico riducono la frequenza negli anni ma permangono le condotte di evitamento iniziali che si cristallizzano in un vero e proprio stile di vita.

(Il Disturbo di Panico, Fad ecm Meeting Service, 2018)

Nel Disturbo di Panico il paziente può mettere in atto misure controfobiche cercando aiuto in figure familiari (compagno- accompagnatore) o può sentirsi protetto da determinati oggetti (ansiolitico, bottiglia d’acqua, occhiali da sole, telefono cellulare ecc.), che assumono quasi un valore magico. In alcuni casi la ricerca di rassicurazione può costituire l’aspetto principale del quadro clinico in questo frangente il paziente tende a chiedere continuamente aiuto alle figure significative di riferimento, divenendo talora dipendente o manipolativo.

L’esordio del Disturbo di Panico è generalmente caratterizzato dalla improvvisa comparsa di un episodio acuto di ansia parossistica accompagnata da un corredo sintomatologico vario ma solitamente il più completo, tanto da rappresentare a distanza di tempo la chiave di lettura indispensabile per comprendere l’evoluzione successiva del disturbo. Il ripetersi degli attacchi porta allo strutturarsi del Disturbo di Panico. Nel 20% dei casi dopo la prima, o le prime crisi si assiste ad una fase di elaborazione ipocondriaca, nel corso della quale il paziente teme di essere affetto da una patologia organica e comincia a chiedere ripetutamente aiuto ai medici, sottoponendosi ad una serie di accertamenti per individuare la natura della sua affezione. Nel 10% dei casi si assiste ad un evitamento delle situazioni sociali, trattandosi di un ansia sociale secondaria alla paura di avere un AP in pubblico e all’imbarazzo e alla vergogna che ne potrebbero scaturire. Spesso gli Attacchi di Panico compaiono durante il normale svolgimento delle attività quotidiane ma la letteratura sottolinea come il 50% dei pazienti vengano colpiti da AP durante il sonno. Nella storia anamnestica dei soggetti con DP sovente si possono riscontrare antecedenti morbosi, come episodi critici d’ansia non diagnosticati durante l’infanzia o l’adolescenza o tratti di personalità evitante o dipendente. In anamnesi, inoltre, si possono evidenziare vari sintomi ad esordio precoce, nella maggior parte dei casi egosintonici, che potrebbero essere interpretati come una disposizione temperamentale che poggia su un substrato geneticamente determinato indicato, in letteratura, come temperamento fobico- ansioso. Le caratteristiche di questo temperamento sono: ipereccitabilità del sistema simpatico, ipersensibilità alla separazione, marcata sensibilità alla rassicurazione,  particolare vulnerabilità agli eventi stressanti, sensibilità peculiare nei confronti di sostanze o bevande leggermente attivanti, timore per le malattie, farmacofobia.

Il quadro clinico del Disturbo di Panico deve tener conto dei complessi sintomatologici sotto-soglia che si manifestano nelle fasi asintomatiche, intervallari e premorbose, quali peculiari modalità di pensiero, reazioni emotive e caratteristiche risposte comportamentali. In alcuni casi la sintomatologia tende ad essere meno evidente e ad assumere forme e contenuti meno tipici rispetto al quadro classico.

Terapia

Sono numerose le ricerche che ritengono che la somministrazione dei farmaci debba essere rigorosamente sostenuta da un trattamento psicoterapeutico. L’approccio farmacologico con antidepressivi ed ansiolitici, nonostante la sua provata efficacia, non è in grado da solo di rispondere a tutte le problematiche che il Disturbo di Panico presenta: cronicità, bassa compliance, farmacofobia, sensibilità agli effetti collaterali, vulnerabilità alle ricadute per stimoli stressanti e complicazioni emotive. Sono gli effetti indesiderati degli psicofarmaci a produrre bassi livelli di alleanza terapeutica , per questo è importante informare il paziente dei rischi legati ad una sospensione brusca o precoce del trattamento, ma anche della natura specifica degli effetti collaterali, poiché soprattutto all’inizio del trattamento, potrebbero essere interpretati come prodromici di un Attacco di Panico inducendo il paziente a sospendere la terapia.

Molto utilizzata nella cura del DP è la ristrutturazione cognitiva che mira a modificare le interpretazioni catastrofiche che il soggetto associa al panico. Un esempio di applicazione delle terapie cognitivo comportamentali nel trattamento del DP è il metodo “Gavin Andrews” applicato da circa 20 anni nell’ospedale ASST-Fatebenefratelli-Sacco di Milano.  E’ stato concepito dal gruppo australiano del Clinical Research Unit for Anxiety Disorder dell’Università del New South Wales di Sydney diretto dal prof. Gavin Andrews, si tratta di un metodo di autocontrollo basato sulla respirazione.

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